UN CONDOMINO DEVE PROCEDERE ALL’IMMEDIATO SMONTAGGIO DI MANUFATTI, ANCHE SE COSTRUITI SU PROPRIETA’ PRIVATA, OVE SIANO LESIVI DEL DECORO ARCHITETTONICO DI UNO STABILE CONDOMINIALE NONCHE’ DELLA SERVITU’ DI VEDUTA IN APPIOMBO –
Il Tribunale di Ragusa, nell’ordinanza n. cronol. 818/2020 del 10/01/2020, ha così statuito:
“letti gli atti di causa e sentite le parti; ritenuta la fondatezza, e conseguente accoglibilità del ricorso possessorio, presentato da OMISSIS, nei confronti di OMISSIS, avente ad oggetto la condanna di questi ultimi all’immediata riduzione in pristino dello stato dei luoghi – a mezzo dello smontaggio di due verande di copertura, installate dai suddetti nell’area a pianterreno di loro esclusiva proprietà, confinante con il vialetto pedonale e con il portone di ingresso dello stabile condominiale, sito in OMISSIS, del quale facevano parte gli appartamenti di proprietà e nel possesso dei ricorrenti medesimi – per avvenuta turbativa del possesso per lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale, per essere stati i manufatti costruiti utilizzando in parte i muri perimetrali di proprietà condominiale, nonché per menomazione del diritto di servitù di veduta.
Ed invero, deve affermarsi la legittimazione attiva in capo agli odierni ricorrenti, dovendosi ritenere raggiunta la prova dell’elemento oggettivo dello ius possessionis in capo ai suddetti, accanto a quello soggettivo dell’animus possidendi, quest’ultimo di per sé insito nel primo, come rilevabile dalle dichiarazioni rese dall’informatore sentito nel corso del giudizio de quo, OMISSIS e ulteriormente corroborato dai titoli legittimi di acquisto della proprietà da parte dei medesimi.
In particolare, l’informatore citato ha dichiarato di recarsi ogni giorno presso l’abitazione dei suoi genitori, sita nello stabile in questione, in un appartamento al primo piano, i cui balconi erano prospicienti sulla veranda già chiusa, quale rilevabile dalle foto mostrategli.
I suoi genitori avevano acquistato tale casa negli anni ottanta, mentre gli altri condomini, odierni ricorrenti, OMISSIS erano sopraggiunti negli anni successivi. Anche i suddetti condomini abitavano stabilmente nello stesso edificio condominiale, incontrandoli spesso il teste le volte in cui andava a trovare i genitori, e discutendo con essi in merito alla costruzione delle verande in contestazione.
Il teste ha precisato di essersi recato talvolta a casa della OMISSIS , mentre gli capitava di incontrare OMISSIS nell’androne condominiale. Lo stesso conosceva ormai da tanto tempo i predetti. Nessun argomento in senso contrario è traibile da quanto riferito dall’altro informatore, OMISSIS avendo il suddetto dichiarato di recarsi tutti i giorni a trovare il padre e il fratello nella OMISSIS, ubicata al pianoterra dell’immobile in questione, entrando da un ingresso secondario, posto vicino a quello dello stabile condominiale, e trattenendosi solitamente da cinque minuti a mezz’ora.
Il predetto ha affermato che, tutte le volte in cui si era recato nella OMISSIS , non aveva mai visto alcuno degli odierni ricorrenti. Nessuna rilevanza in senso assoluto può essere attribuita a tale dichiarazione, non valendo la stessa ad escludere la sussistenza di una situazione possessoria in capo ai ricorrenti, stante il lasso temporale relativamente breve di permanenza del OMISSIS nella OMISSIS del resistente.
Appare poco credibile, peraltro, che il predetto abbia dichiarato di conoscere i ricorrenti, eccezion fatta per la OMISSIS , in quanto condomini dello stabile in questione, ma di non averli mai visti tutte le volte che si era recato nella OMISSIS del padre.
Né appare decisiva la circostanza riferita dallo stesso secondo cui l’appartamento del OMISSIS sarebbe disabitato, essendo le tapparelle sempre chiuse, avuto riguardo ai tempi inevitabilmente limitati di permanenza del predetto nella OMISSIS , né il fatto che si fosse verificata una perdita da una tubatura dell’appartamento del citato ricorrente o che si fossero svolte delle trattative tra OMISSIS, il medesimo e il padre per la vendita della sua abitazione, potendosi, di contro, evincere dalle circostanze citate la sussistenza di una situazione possessoria in capo al suddetto.
Perché possa configurarsi il possesso in favore di un soggetto, infatti, non occorre la materiale continuità dell’uso, ne’ l’esplicazione di continui e concreti atti di godimento e di esercizio del possesso, ma è sufficiente che la cosa, anche in relazione alla sua natura e destinazione economico – sociale, possa ritenersi rimasta nella virtuale disponibilità del possessore, potendo il possesso essere mantenuto anche “solo animo”, purché il soggetto abbia la possibilità di ripristinare il “corpus”, quando lo voglia (cfr. Cass. Sez. 2, n. 11119 del 11.11.1997, C.E.D.Cass.n. 509734; Cass. Sez. 2, n. 5444 del 04.06.1999, C.E.D.Cass.n. 527013).
Il possesso (o la detenzione) può essere conservato “solo animo”, purché il possessore (o il detentore) sia in grado di ripristinare “ad libitum” il contatto materiale con la cosa, sicché, ove tale possibilità sia di fatto preclusa da altri o da una obiettiva mutata situazione dei luoghi, l’elemento intenzionale non è, da solo, sufficiente per la conservazione del possesso (o della detenzione), che si perde nel momento stesso in cui è venuta meno l’effettiva disponibilità della cosa (cfr. Cass. Sez. 1, n. 4404 del 28.02.2006, C.E.D.Cass.n. 587752; Cass. Sez. 2, n. 1723 del 29.01.2016, C.E.D.Cass.n. 638592).
Non si ha ragione di dubitare dell’attendibilità del teste di parte ricorrente, in difetto di elementi concreti in senso contrario addotti dalla controparte, e non apparendo le sue dichiarazioni in contrasto con quelle dell’altro informatore di controparte, per le ragioni già esposte in precedenza.
Ciò premesso, nessun dubbio sussiste in merito all’ammissibilità della tutela possessoria nell’ipotesi di contestata lesione del decorso architettonico di un edificio, a mezzo dell’esperimento dell’azione di manutenzione. Ed invero, la facciata e il relativo decoro architettonico di un edificio costituiscono un modo di essere dell’immobile, e così un elemento del modo di godimento da parte del suo possessore; di conseguenza la modifica della facciata, comportando una interferenza nel godimento medesimo, può integrare una indebita turbativa suscettibile di tutela possessoria (cfr. Cass. Sez. 2, n. 7069 del 22.06.1995, C.E.D.Cass.n. 493016; Cass. Sez. 2, n. 4109 del 10.07.1985, C.E.D.Cass.n. 441634).
Ai fini della tutela prevista dall’art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto di innovazioni sulle parti comuni dell’edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato alterato dall’innovazione, abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull’immobile, ma è sufficiente che vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che conferiscono al fabbricato una propria specifica identità (cfr. Cass. Sez. 2, n. 14455 del 19.06.2009, C.E.D.Cass.n. 608503).
In tema di condominio, il decoro architettonico, quando possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia, è un bene comune, ai sensi dell’articolo 1117 cod. civ., il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare (cfr. Cass. Sez. 2, n. 8830 del 04.04.2008, C.E.D.Cass.n. 602778).
Per ” decoro architettonico ” deve intendersi quindi l’estetica del fabbricato data dall’insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità (cfr. Cass. Sez. 2, n. 851 del 16.01.207, C.E.D.Cass.n. 594579).
E’ errata la tesi secondo cui la tutela del decoro architettonico sarebbe limitata ai beni comuni, mentre, al contrario, vi sarebbe piena libertà di modificare le parti di proprietà esclusiva, essendo attinente il decoro architettonico a tutto ciò che dell’edificio è visibile e apprezzabile dall’esterno, posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia.
Ne consegue che – a prescindere da ogni considerazione sulla proprietà dei muri perimetrali, che l’art. 1117 c.c. espressamente annovera tra i beni comuni – il proprietario della singola unità immobiliare non può mai, senza autorizzazione del condominio, esercitare una autonoma facoltà di modificare quelle parti esterne, siano esse comuni o di proprietà individuale, che incidano sul decoro architettonico dell’intero corpo di fabbrica o di parti significative di esso. Una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell’originaria fisionomia, ma alterano quest’ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l’accertamento opinabile del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand’anche nel suo complesso possa apparire a taluno gradevole (cfr. Cass. Sez. 2, n. 17398 del 30.08.2004, C.E.D.Cass.n. 576394).
Nella specie, trattasi della realizzazione di due verande da parte dei resistenti, in un’area di loro proprietà esclusiva, nel prospetto principale dell’edificio condominiale, in prossimità del portone di ingresso, con evidente incidenza sull’aspetto architettonico esteriore del fabbricato nel suo complesso, avuto riguardo alle caratteristiche strutturali e dimensionali di tali opere, seppure non ancora del tutto ultimate, nonchè alle finiture e alla forma di esse, caratteristiche tutte chiaramente evincibili ictu oculi dalla documentazione fotografica in atti, non oggetto di contestazione di controparte.
Appare quindi con evidenza la lesione del decoro architettonico originario del fabbricato condominiale, non ostando ad essa la semplicità delle strutture e delle linee architettoniche dell’immobile e il difetto di un pregio estetico particolare di esso.
La lesione del decoro estetico dell’edificio condominiale sarebbe comunque di per sé integrata dall’alterazione dell’originaria fisionomia e delle originarie linee architettoniche, a prescindere dalla pregevolezza estetica dell’intervento realizzato e dall’eventuale gradevolezza del risultato finale, cosa, comunque, non configurabile nel caso di specie.
Altrettanto fondata deve ritenersi la lesione del possesso lamentata dai ricorrenti con riferimento alle modalità di esecuzione delle verande in questione, essendo state le travi di esse strutturalmente agganciate sul muro perimetrale dell’edificio, di proprietà condominiale, senza alcuna autorizzazione, circostanza, questa, non contestata dalla controparte, con conseguente evidente violazione del possesso degli altri condomini – comproprietari.
Sotto il profilo, infine, della violazione della servitù di veduta in appiombo ex art. 907, comma 3, c.c., l’art. 907 cod. civ. in tema di distanze delle costruzioni dalle vedute è applicabile anche nei rapporti tra condomini di un edificio (cfr. Cass. Sez. 2, n. 13012 del 02.10.2000, C.E.D.Cass.n. 540670).
E’ pacifico l’orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte di Cassazione, secondo cui le norme sulle distanze ex art. 907 c.c. sono applicabili anche tra i condomini di un edificio condominiale, purché siano compatibili con la disciplina particolare relativa alle cose comuni, cioè quando l’applicazione di quest’ultima non sia in contrasto con le prime; nell’ipotesi di contrasto, la prevalenza della norma speciale in materia di condominio determina l’inapplicabilità della disciplina generale sulle distanze che, nel condominio degli edifici e nei rapporti tra singolo condomino e condominio, è in rapporto di subordinazione rispetto alla prima. Pertanto, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’ art. 1102 c.c., deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale (cfr. Cass. n. 6546/ 2010; Cass.n. 14096/2012).
Nella specie è configurabile una fattispecie diversa da quella presa in considerazione dalla Cassazione nelle sentenze succitate, avendo i ricorrenti invocato non già l’applicabilità dell’art. 1102 c.c., bensì dell’art. 1120 c.c., trattandosi di opere realizzate non già sulla cosa comune, bensì su un’area di proprietà esclusiva, seppure con evidenti ripercussioni sull’aspetto esteriore dell’edificio condominiale.
In particolare, è risultata la realizzazione delle due verande in violazione delle distanze ex art. 907, comma 3, c.c., con evidente lesione della servitù di veduta c.d. in appiombo vantata dai ricorrenti OMISSIS, proprietari degli immobili siti al primo piano dello stabile condominiale, apparendo dall’esame delle foto prodotte in atti i due manufatti costruiti a ridosso della soletta inferiore dei balconi di pertinenza delle proprietà dei citati ricorrenti, non rispettando la distanza di tre metri dalla detta soglia, nonchè debordando per qualche metro rispetto alla soglia esterna di tali balconi.
Anche in tale ipotesi è indubbia la turbativa del pacifico possesso del citato diritto di servitù in capo ai condomini.
Contro la violazione delle norme sulle distanze legali, concretandosi questa in una mera turbativa dell’altrui possesso, può essere esperita l’azione di manutenzione e non quella di spoglio (cfr. Cass. Sez. 2, n. 724 del 23.01.1995, C.E.D.Cass.n. 489844; Cass. Sez. 2, n. 17868 del 24.11.2003, C.E.D.Cass.n. 568405).
Le violazioni delle distanze legali tra costruzioni – al pari di qualsiasi atto del vicino idoneo a determinare situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di una servitù – sono denunciabili ex art.1170 cod.civ. con l’azione di manutenzione nel possesso, costituendo attentati alla libertà del fondo di fatto gravato, e, pertanto, turbative nell’esercizio del relativo possesso (cfr. Cass. Sez. 2, n. 22414 del 29.11.2004, C.E.D.Cass.n. 578649).
Nessuna contestazione sullo stato di fatto, come rappresentato dai ricorrenti nel proprio atto introduttivo, è stata sollevata da parte dei resistenti, e lo stesso è stato corroborato dal teste OMISSIS, il quale ha riconosciuto nelle foto esibitegli la situazione esistente.
Alla luce delle considerazioni di cui sopra, il ricorso possessorio in esame deve essere accolto, e i resistenti andranno condannati alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, a cure e spese degli stessi. La questione relativa all’ammissibilità dell’estensione dell’oggetto originario della domanda alla valutazione dell’abusività o meno delle opere in corso di realizzazione deve intendersi assorbita nella decisione in oggetto
OMISSIS
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso presentato da OMISSIS Condanna i resistenti,OMISSIS, in solido tra loro, alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi, a mezzo dello smontaggio delle due verande di copertura di cui in parte motiva, a cura e a spese dei suddetti.
OMISSIS